Il falco e la talpa


Non pensate che ultimamente si vada perdendo la visione globale delle cose e si vada verso l’analisi esasperata del dettaglio che viene ingigantito a tal punto di creare falsi convincimenti?

Ho avuto come insegnante di Clinica Medica il prof. Villa che dirigeva il reparto Sacco del Policlinico di Milano. Era uno degli ultimi esami che dovevo sostenere e forse il più difficile per la vastità della materia e per la prova pratica sul paziente ricoverato. Mi capitò un caso di insufficienza renale cronica e il mio esaminatore era proprio lui: Villa! Conoscevo la diagnosi della malattia perché me l’avevano suggerita, per cui anamnesi, dati di laboratorio ematochimici e delle urine mi erano abbastanza presenti.

Lui mi lasciò partire in tromba ad enumerare tutti i dati con i dettagli delle caratteristiche differenziali di laboratorio nella fase acuta, subacuta e cronica senza però mostrare grande interesse. Pensavo di aver dato grande sfoggio del mio sapere, ma mi dovette ricredere subito. Cominciò a domandarmi con molta calma e attendendo sempre la mia risposta una serie impressionante di segni clinici del tipo: “Se lei guarda il volto di questo malato cosa vede e cosa la preoccupa? La pelle com’è? Qual è il suo colorito e la sua consistenza? E gli edemi ci sono o no? Come fa a dire che questo è un edema? A questo stadio come sono le urine come quantità e come colore? E mi parli un po’ del polso e della pressione di questo paziente…”

Non avevo fatto la figura del falco che sa vedere, ma mi ero, come una talpa, nascosto sotto i semplici dati di laboratorio. Non ho preso un gran voto quel giorno ma ho imparato che bisogna saper vedere.

Mi sono dovuto ricredere anche sul valore della anamnesi: è uno dei momenti di rapporto umano che spesso ci lasciamo sfuggire per imparare noi, dalla vita degli altri e, per instaurare con gli altri, un rapporto di fiducia da una posizione difficile qual è quella del curante nei confronti del malato. Quella della anamnesi è una incombenza spesso lasciata ai neofiti negli ospedali. Si va al letto del malato e si fanno solite domande di dubbio valore tipo: “Parto eutocico o distocico?” Qualche volta, quasi per caso capita di trovare il personaggio che ti fa riflettere: eccone uno. Anni 38-40, itterico, letto n.12 al Beretta Est reparto di Chirurgia Generale. “Che attività fa?” – “Il camionista!” – “Ha sempre fatto il camionista?” – “No. Prima ero un cantante lirico: un basso!” – “Cosa? Un cantante lirico che diventa un camionista? Ma come è possibile?”

Un lungo sospiro e poi uno sguardo negli occhi dove ti sembra leggere un… “ma si te la racconto”. “Ho cantato nei più grandi teatri del mondo”. Ne enumera tanti ma mi ricordo solo il Metropolitan e la Scala. “Ho guadagnato tanti soldi e li ho spesi tutti in anni di spensieratezza. Mi sono trovato solo, senza possibilità e ho trovato da fare il camionista. Ma ho trovato anche una splendida donna e ora ho una bambina di 4 anni e…adesso canto solo per lei…”

Veniva dimesso 20 giorni dopo per una neoplasia inoperabile della testa del pancreas. Non riesco ancora a dimenticarlo….E così anche l’anamnesi può essere mirata ai dettagli (da talpe) o può essere a 360 gradi (da falchi): è un altro modo di vivere…

Ma ora via i fantasmi, via i ricordi del passato, e un occhio alla piccola realtà odontoiatrica di tutti i giorni intrisa di scienza (degli altri), di ricerca scientifica (degli altri), di statistica (degli altri) ma povera purtroppo della (nostra) testimonianza professionale documentata. L’ispezione, la palpazione, la percussione eseguite con determinazione, associate all’indagine radiografica e alla testimonianza del paziente sono mezzi ancora oggi validissimi di indagine e permettono spesso di scoprire un mondo nuovo, reale e vero anche se scomodo per i depositari delle verità rivelate. La fantasia dell’operatore con i suoi quotidiani esperimenti terapeutici fa il resto. E invece? Entriamo nel nostro studio e, tanto per cominciare, cappello, mascherina, occhiali e guanti protettivi; poi diga, occhiali ingranditori, rilevatori apicali; poi procedure operative e linee guida. Non ti sembra di entrare in un mondo tutto più piccolo, più ristretto, più nascosto, il mondo delle talpe? Giù la testa e lavora!

Vivere da falchi vuol dire saper vedere, saper descrivere, saper trattare le situazioni più disparate senza condizionamenti culturali, di scuola e di maniera: qualche esempio?

In profilassi vuol dire saper vedere quantità e peculiarità di distribuzione dei cosiddetti fattori irritanti, senza pensare che siano sempre per forza responsabili di situazioni di infiammazione gengivale, che la loro rimozione sia seguita sempre dalla risoluzione del fatto infiammatorio, che siano sempre espressione di cattiva partecipazione del paziente alla sua cura, che, se associati a gengive edematose, sanguinanti arrossate debbano per forza innestare quadri di piorrea conclamata. Spesso i casi più disgraziati, sono proprio quelli privi di fattori irritanti.

In conservativa vivere da falchi non vuol dire sposare in maniera acefala, facendo finta di crederci, la teoria di Muller, ma saper vedere che le carie hanno delle regole di insorgenza e di distribuzione nei soggetti predisposti, saper dubitare che il filo e il fluoro possano poterle prevenire, o che i dolci le possano determinare. Vuol dire saper dubitare che la sigillatura dei solchi sia la panacea salvifica.

In protesi vivere da falchi vuol dire non rifugiarsi nelle accademiche disquisizioni della precisione a 20 o 30 micron ma affidarsi a valutazioni più concrete di validità che rientrano nel campo sensitivo di ciascuno di noi.

Vivere da falchi in implantologia vuol dire pensare che qualunque tipo di impianto accreditato può riuscire o meno; e se non riesce, poco male, si rifà. Vuol dire dubitare che l’osso, che alla fine deve accettare l’impianto, riconosca il marchio di fabbrica sfornando riassorbimenti a scodella per questi e non per quelli. Dubitare che la sterilità relativa del campo, la soluzione fisiologica sterile, il sommerso, gli antibiotici debbano essere i corollari indispensabili al successo perché, c’è successo anche senza questi auspicabili orpelli. Vivere da falchi vuol dire saper distinguere il successo impiantare solo con la clinica e la radiologia senza rimandare tutto all’esame istologico, astenendosi dal giudizio.

In parodontologia essere falchi vuol dire sapere vedere forme di par odontopatie in cui la mobilità la fa da padrona, in assenza di recessioni o tasche in un quadro di precarietà che si instaura non dalla gengiva ma dal di sotto. L’osso se ne va prima che la gengiva dia segni di sofferenza. Vuol dire dare il giusto valore alla mobilità che si instaura in questi casi, non classificandola sulla base dei millimetri che nessuno di noi ha in testa, ma con aggettivi “debole”, “evidente”, “vistosa” che forse sono meno precisi ma sicuramente più comprensibili. Vuol dire riconoscere forme di parodontopatia ad evoluzione maligna in grado di distruggere in pochi mesi una radice via l’altra dei molari; e non c’è rizectomia che tenga.

Questo modo di vivere la professione in modo disincantato e disinibito, richiede purtroppo anni anni di umile osservazione di casi trattati e no. Da queste conoscenze deve attingere il nostro sapere.

Un augurio a tutti: cercate di rimanere dei falchi.

19 aprile 2000